Perchè il vino diventa aceto?
Capita di avere in casa dell’ottimo vino che purtroppo non è più buono da bere e inizia a diventare aceto. Cosa fare: gettarlo via o è possibile trasformarlo in un buon aceto con metodo casalingo?
Produrre l’aceto in casa partendo da vino non più bevibile, è molto semplice, richiede solo un po’ di tempo e di pazienza.
Prima però è d’obbligo una premessa fondamentale sulla formazione dell’aceto. In presenza di ossigeno e delle condizioni termiche ed ecologiche favorevoli, sulle uve, nel mosto o nel vino si sviluppano facilmente batteri acetici il cui metabolismo prevede l’attacco e la degradazione dell’alcol etilico con formazione di acido acetico oltre che l’attacco di altre sostanze con formazione di svariati prodotti secondari.
L’evoluzione spontanea del mosto quindi non porterebbe naturalmente al vino ma all’aceto, il vino è quindi da considerarsi una fase intermedia della degradazione degli zuccheri del mosto, fase intermedia che, costituendo un prodotto, dal punto di vista commerciale, superiore all’aceto, viene “bloccata” e mantenuta tramite opportuna stabilizzazione a mezzo di anidride solforosa, additivi vari, pastorizzazione, filtrazione etc.
Per assicurarsi della buona riuscita dell’operazione di trasformazione in aceto, è utile innanzi tutto assicurarsi che il vino di partenza non sia stato stabilizzato: l’unico modo per saperlo è chiedere al produttore, se però il vino in questione ha inacetito autonomamente significa che il vino non è stato stabilizzato in sede opportuna oppure non è stato stabilizzato nel modo adeguato. Inoltre ricordiamo che la presenza di fioretta favorisce l’acescenza poiché favorisce lo sviluppo di batteri acetici.
La produzione casalinga dell’aceto è concettualmente simile a quella dello yogurt perché si basa sull’utilizzo di una coltura batterica di partenza che fungerà da inoculo per “infettare” partite di prodotto da trasformare. A differenza dello yogurt, nel cui caso i batteri (qui lattici) vanno acquistati, per il vino da trasformare in aceto è necessario costituire, per così dire, “dal nulla” la coltura batterica da utilizzare; questa nel dialetto delle mie parti, si chiama “marï”, traducibile col termine “madre” poiché darà origine al futuro aceto.
Per fare ciò si travasino due litri circa di vino in un contenitore di capacità molto superiore (di solito si usa una damigiana piccola) in modo tale che la superficie del vino a contatto con l’aria sia consistente. Usando una damigiana, quindi un contenitore con apertura ridotta, si eviterà il contatto con la polvere pur avendo una sufficiente area a contatto con l’ossigeno.
In un arco di tempo di circa un mese a temperatura ambiente, i batteri acetici si moltiplicheranno e formeranno un fondo dalla consistenza spugnosa che fungerà da inoculo di batteri acetici per il vino “sano” che man mano aggiungerete. Non si dovrà mai riempire la damigiana ma aggiungere tanto vino quanto quello che man mano verrà tolto perché ormai trasformato in aceto.
Una piccola nota che riguarda la temperatura: quella di una casa normalmente riscaldata è più che sufficiente, quella di una cantina non troppo fredda può andare bene ma per costituire la “marï” sarà necessario un tempo superiore alle quattro settimane. Se si volessero accelerare i tempi e quindi riscaldare artificialmente il vino da trasformare (fornelli, etc.) si otterrà l’effetto opposto e cioè i batteri acetici moriranno poiché il vino in questo modo subisce una sorta di pastorizzazione.
L’aceto così ottenuto può essere subito utilizzato oppure può essere aromatizzato a piacere con spezie o frutta o, avendo a disposizione una piccola botte di rovere, essere invecchiato e reso balsamico.
Grazie a sottocoperta.net per la sua bellissima rubrica sul cibo